Avevo così saputo una seconda cosa molto importante! Che il suo pianeta nativo era poco più grande di una casa.
Tuttavia, questo non poteva stupirmi molto. Sapevo benissimo che, oltre ai grandi pianeti come la Terra, Giove, Marte, Venere ai quali si è dato un nome, ce ne sono centinaia ancora che sono a volte così piccoli che si arriva sì e no a vederli col telescopio.Quando un astronomo scopre uno di questi, gli dà per nome un numero. Lo chiama per esempio: “l’asteroide 3251”. Ho serie ragioni per credere che il pianeta da dove veniva il piccolo principe è l’asteroide B 612.
Questo asteroide è stato visto una sola volta al telescopio da un astronomo turco. Aveva fatto allora una grande dimostrazione della sua scoperta a un Congresso Internazionale d’Astronomia. Ma in costume com’era, nessuno lo aveva preso sul serio. I grandi sono fatti così. Fortunatamente per la reputazione dell’asteroide B 612 un dittatore turco impose al suo popolo, sotto pena di morte, di vestire all’europea. L’astronomo rifece la sua dimostrazione nel 1920, con un abito molto elegante. E questa volta tutto il mondo fu con lui.
Se vi ho raccontato tanti particolari sull’asteroide B 612 e se vi ho rivelato il suo numero, è proprio per i grandi che amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: “Qual è il tono della sua voce?Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?”. Ma vi domandano: “Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?”. Allora soltanto credono di conoscerlo. Se voi dite ai grandi:
“Ho visto una bella casa in mattoni rosa, con dei gerani alle finestre, e dei colombi sul tetto” loro non arrivano a immaginarsela. Bisogna dire: “Ho visto una casa di centomila lire”, e allora esclamano: “Com’è bella”. Così se voi gli dite: “La prova che il piccolo principe è esistito, sta nel fatto che era bellissimo, che rideva e che voleva una pecora. Quando uno vuole una pecora è la prova che esiste”. Be’, loro alzeranno le spalle, e vi tratteranno come un bambino. Ma se voi invece gli dite: “Il pianeta da dove veniva è l’asteroide B 612” allora ne sono subito convinti e vi lasciano in pace con le domande.
Sono fatti così. Non c’è da prendersela. I bambini devono essere indulgenti coi grandi.
La prima metà del quarto capitolo si riapre con una rinnovata accusa di Exupéry verso gli adulti: così come nel primo capitolo, il modus operandi della spiegazione si riallaccia ad alcuni esempi, in cui vengono evidenziate le diverse priorità di grandi e piccoli. Sono tanti i messaggi nascosti tra le righe di questo capitolo; per poterli cogliere, evidenziamo ogni esempio nella sua singolarità.
Dagli occhi di un bambino | Dagli occhi di un adulto |
Questo asteroide è stato visto una sola volta al telescopio da un astronomo turco. Aveva fatto allora una grande dimostrazione della sua scoperta a un Congresso Internazionale d’Astronomia. Ma in costume com’era, nessuno lo aveva preso sul serio. I grandi sono fatti così. |
Fortunatamente per la reputazione dell’asteroide B 612 un dittatore turco impose al suo popolo, sotto pena di morte, di vestire all’europea. L’astronomo rifece la sua dimostrazione nel 1920, con un abito molto elegante. E questa volta tutto il mondo fu con lui. |
Primo grande errore commesso dagli adulti: lasciarsi governare dal pregiudizio. Quante volte il valore e il talento di una persona vengono ridotti ad un superficiale aspetto esteriore? Cosa si cela dietro quella scorza che con il tempo, forse un po’ per autodifesa, ci siamo costruiti? Con questo esempio, Exupéry ci vuole lanciare un campanello d’allarme. Nel caso dell’asteroide B612, la grandezza della scoperta è lì, esiste, ed aspetta solo di essere riconosciuta, compresa, condivisa; ma gli occhi del conformismo sono ciechi a tale bellezza. Quante etichette, quanta burocrazia mentale e sociale poniamo ad ostacolo nel dialogo tra noi e gli altri; quanto errore di calibrazione nella scala Richter delle cose capaci di scuoterci. Per Exupéry sicuramente un errore considerevole, non accettabile nelle misurazioni del cuore.
Altro messaggio tra le righe: quel piccolo che tanto ha valore per Exupéry non proviene da un luogo noto per la sua grandezza e il suo potere, bensì da un pianeta poco più grande di una casa. Il piccolo principe si presenta a noi con la massima umiltà e semplicità, per dialogare direttamente con il nostro cuore ed eliminare tutto ciò che è superfluo. Le sue domande sono dirette, a volte fanno quasi sorridere. Di certo sono semplici, ma sono prive dei tanti orpelli con cui siamo soliti ornare i nostri discorsi.
Dagli occhi di un bambino | Dagli occhi di un adulto |
“Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?” “Ho visto una bella casa in mattoni rosa, con dei gerani alle finestre, e dei colombi sul tetto” “La prova che il piccolo principe è esistito, sta nel fatto che era bellissimo, che rideva e che voleva una pecora. Quando uno vuole una pecora è la prova che esiste”. |
“Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?
“Ho visto una casa di centomila lire” “Il pianeta da dove veniva è l’asteroide B 612” |
Altro errore, derivato dal primo atteggiamento: come ci rivolgiamo alle persone, prima di tutto a noi stessi? Exupéry denuncia un mondo dedito esclusivamente al numero. Badate bene, la mia non è un’accusa alla scienza o un’insinuazione che tale materia sia inutile o bugiarda, tutt’altro! E chi mi conosce sa che la mia ammirazione per l’ambito scientifico si riflette nella facoltà che ho intrapreso e nel cammino che sto percorrendo. Quello di cui parla Exupéry è un catalogare e rendere aridi i rapporti umani e quindi, l’uomo stesso, per sua natura non fatto solo di numeri e calcoli.
L’autore parla chiaro: siamo abituati ad un mondo dove per essere parte integrante della società bisogna portare a casa dei risultati, quantificabili a loro volta solo da numeri o cifre. Sin da piccoli, siamo abituati che una A o un dieci vogliono dire che abbiamo fatto bene il nostro lavoro; ma spesso, rischiamo di confondere e immedesimare noi stessi in quella cifra finita.
Così, cresciuti, ci ritroviamo a parlare con lo stesso stampino con cui siamo stati educati, tralasciando parte del nostro essere umani: le domande importanti da rivolgere a qualcuno restano legate agli aspetti materiali, al quanto si è fatto durante la giornata, al quanto si sia in grado di produrre (“Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?); rendiamo finito, ciò che in realtà ha mille sfaccettature, ovvero la nostra umanità, la nostra personalità (non so voi, ma io dopo vent’anni ancora non posso dire di conoscermi fino in fondo!).
Nonostante il nostro atteggiamento, la nostra natura si fa presente, sempre: e così nei volti di amici e persone che, per nostra fortuna, ci hanno davvero a cuore, riscopriamo la nostalgia verso quel guardarsi per essere ‘altro’ dal mero numero. D’altronde, pensateci bene: quando qualcuno ci chiede ‘come stai?’ spesso rispondiamo in modo frettoloso, o ci mettiamo a raccontare cosa abbiamo fatto durante la giornata; se è una persona con cui non parliamo da molto, cosa stiamo facendo in generale nella vita. Risultati, quantità, numeri. Ma la verità è che non c’è nulla di più bello e confortante, dopo una quotidianità che presenta le sue sfide, sentirsi dire: ‘sì ma tu, per davvero, come stai?’.
Exupéry ci esorta ad un esame di coscienza: cosa definisce davvero la nostra esistenza? Per destarci dal nostro torpore, l’autore si serve di una delle frasi a mio parere più belle incontrate finora: quando uno vuole una pecora è la prova che esiste. Niente numeri, né trofei o risultati vincenti: un semplice desiderio, un semplice voler dire ‘ci sono anche io’. Quanta dignità Exupéry conferisce a questo semplicissima frase e soprattutto, che estrema sensibilità verso l’altro: talmente vasta da rendere degno il volere una pecora. E quindi uscimmo a riveder le stelle (Inferno, canto XXXIV,139): nell’inferno in cui spesso ci ritroviamo e ci siamo costruiti, ci accorgiamo di aver bisogno di guardare nuovamente il cielo per poter colmare la nostra mancanza di stelle, per poter corrispondere il nostro de-siderare.
Ma certo, noi che comprendiamo la vita, noi che ce ne infischiamo dei numeri! Mi sarebbe piaciuto cominciare questo racconto come una storia di fate.
Mi sarebbe piaciuto dire: “C’era una volta un piccolo principe che viveva su di un pianeta poco più grande di lui e aveva bisogno di un amico…”
Per coloro che comprendono la vita, sarebbe stato molto più vero. Perché non mi piace che si legga il mio libro alla leggera.
È un grande dispiacere per me confidare questi ricordi. Sono già sei anni che il mio amico se ne è andato con la sua pecora e io cerco di descriverlo per non dimenticarlo. È triste dimenticare un amico. E posso anch’io diventare come i grandi che non s’interessano più che di cifre. Ed è anche per questo che ho comperato una scatola coi colori e con le matite. Non è facile rimettersi al disegno alla mia età quando non si sono fatti altri tentativi che quello di un serpente boa dal di fuori e quello di un serpente boa dal di dentro, e all’età di sei anni.
Mi studierò di fare ritratti somigliantissimi. Ma non sono affatto sicuro di riuscirci. Un disegno va bene, ma l’altro non assomiglia per niente. Mi sbaglio anche sulla statura. Qui il piccolo principe è troppo grande. Là è troppo piccolo. Esito persino sul colore del suo vestito. E allora tento e tentenno, bene o male.
E finirò per sbagliarmi su certi particolari più importanti. Ma questo bisogna perdonarmelo. Il mio amico non mi dava mai delle spiegazioni. Forse credeva che fossi come lui. Io, sfortunatamente, non sapevo vedere le pecore attraverso le casse. Può darsi che io sia un po’ come i grandi.
Devo essere invecchiato.
Soltanto chi dà vero valore ai rapporti umani può dire di aver compreso davvero la vita: nel condividere il suo dolore, Exupéry si distacca nuovamente dal mondo degli adulti, esplicitandosi come bambino (‘noi che comprendiamo la vita’), esortandoci ancora una volta a dare il giusto peso agli elementi che compongono la nostra vita. L’autore ci lancia una sfida: non prendete alla leggera questo libro! Non banalizzatelo! Mostrate sensibilità verso il mio dolore, il dolore di un uomo che ha perso il suo amico e cerca disperatamente di lottare contro l’oblio e le dimenticanze umane. È triste dimenticare un amico: quante persone ci lasciamo alle spalle nel corso della nostra esistenza; quanti ricordi, spesso custoditi con nostalgia tenerezza o rammarico, legati a coloro che eravamo soliti chiamare amici e ora non sono altro che conoscenti o persino estranei. Chi di voi ha sperimentato questo dolore, provocato o subito, può comprendere Exupéry.
E posso anch’io diventare come i grandi che non s’interessano più che di cifre. L’autore condivide le sue preoccupazioni per renderle anche nostre e ci esorta a non perdere la capacità di stupirci, di essere in grado, a nostro modo, di vedere le pecore attraverso le casse, non come infantilismo e rifiuto di entrare nella vita biologicamente adulta, ma come una rinnovata capacità di sapersi stupire, di sapersi reinventare; di vedere la bellezza nel quotidiano. Ogni giorno. Ancora una volta.
disegno di Alessandra Palombelli
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