CAPITOLO 2: L’INFERNO DI EXUPÉRY E L’INCONTRO

CAPITOLO 2: L’INFERNO DI EXUPÉRY E L’INCONTRO

 

Così ho trascorso la mia vita solo, senza nessuno cui poter parlare, fino a sei anni fa quando ebbi un incidente col mio aeroplano, nel deserto del Sahara.

 Qualche cosa si era rotta nel motore, e siccome non avevo con me né un meccanico, né dei passeggeri, mi accinsi da solo a cercare di riparare il guasto.
Era una questione di vita o di morte, perché’ avevo acqua da bere soltanto per una settimana. 


La prima notte, dormii sulla sabbia, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana.

Ero più isolato che un marinaio abbandonato in mezzo all’oceano, su una zattera, dopo un naufragio.

 

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

[…]

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.

[Dante Alighieri, Inferno, canto I]

 

Che cosa ne hai fatto della tua vita finora? Con un brusco salto temporale, Exupéry ci lancia nel vivo della situazione: la sua vita è ormai trascorsa, per di più in solitudine, proprio a causa delle tante distanze prese con il mondo degli adulti. Il tempo è indefinito, come nell’incipit dantesco: cosa sarà successo nel frattempo? Poco importa; ci basti sapere che, al pari di Dante, anche lui si trovava nel mezzo del cammin di nostra vita.

Trentacinque anni il fiorentino e trentasette il lionese, ambedue si riscoprono in un posto selvaggio, aspro e forte: una selva oscura per l’uno, anticamera all’ingresso negli Inferi, un deserto a mille miglia da qualsiasi abitazione umana per l’altro. Non solo; in entrambe le vicende, la morte si fa pericolo concreto, intesa da Dante come spirituale, da Exupéry come carnale (Era una questione di vita o di morte, perché’ avevo acqua da bere soltanto per una settimana).  I nostri narratori si ritrovano ad incominciare il loro viaggio nella più piena solitudine, tanto da paragonarsi entrambi a dei naufraghi in totale balìa delle circostanze esterne; ruolo per altro rivestito sia in senso reale che metaforico sin dall’antichità, da Ulisse all’Ancient Mariner di Coleridge.

Capitolo 2


 

Ecco però che avviene un incontro inaspettato:

Potete immaginare il mio stupore di essere svegliato all’alba da una strana vocetta:“Mi disegni, per favore, una pecora?”
“Cosa?”
“Disegnami una pecora”.
Balzai in piedi come fossi stato colpito da un fulmine.
Mi strofinai gli occhi più volte guardandomi attentamente intorno.
E vidi una straordinaria personcina che mi stava esaminando con grande serietà. Qui potete vedere il miglior ritratto che riuscii a fare di lui, più tardi.
Ma il mio disegno è molto me
no affascinante del modello

Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.


Quando vidi costui nel gran diserto,
“Miserere di me”, gridai a lui,
“qual che tu sii, od ombra od omo certo!”.


Rispuosemi: “Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.

[…]


Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?”.

 

Non voglio soffermarmi su un confronto dettagliato tra le due opere, operazione che, per altro, potrebbe risultare decisamente azzardata e fuori luogo date le molteplici differenze temporali, culturali, linguistiche e sintattiche. Mi stupisce però come entrambi gli autori sembrino condividere alcuni punti fondamentali. In un certo senso, si potrebbe intuire una metafora sul vivere: certe volte, nei momenti più inaspettati, si incontrano delle persone che si rivelano decisive per la propria vita.

In entrambe le opere, il dialogo riveste un ruolo fondamentale: come Dante avrà occasione di interrogare Virgilio o gli stessi dannati e di riflettere su quanto ascoltato, così Exupéry si ritrova a meditare sui racconti del piccolo principe, come questi aveva fatto nel corso del suo lungo viaggio, raccogliendo le tante storie dei personaggi incontrati. Infine, entrambe le guide interpellano i protagonisti con un quesito, con l’intento comune di risvegliarli: Dante dall’incontro con le tre fiere; Exupéry dal guasto del suo motore (Mi disegni, per favore, una pecora? / Ma tu perché ritorni a tanta noia?)

Il dialogo con il principe appare surreale: in una situazione di così grande pericolo, le richieste del piccolo risultano estremamente futili. Chi sarà mai questo personaggio misterioso, a detta di Exupéry né tramortito per la fatica, o per la fame, o per la sete, o per la paura? Seguendo il pensiero più logico potremmo essere indotti a pensare si tratti solamente di un’allucinazione provocata dalle condizioni in cui versava l’aviatore. Lui stesso appare decisamente perplesso e meravigliato della situazione e, con quel come, sembra mettere in discussione l’importanza di quella pecora per il bimbo (egli ripeté lentamente come si trattasse di cosa di molta importanza): ha forse iniziato a ragionare come gli adulti?

Nonostante l’iniziale perplessità e l’iniziale stupore, Exupéry decide di rispondere a quella vocina, confidandoci che quando un mistero è così sovraccarico, non si osa disubbidire. Per quanto la situazione risulti irrealistica, il messaggio è chiaro: la vita spesso decide di sorprenderti, nel bene o nel male; e quando ciò accade, difficilmente si è pronti ad affrontarla. L’imperfezione è parte costituente dell’uomo e, a questi, non resta che rispondere nel miglior modo possibile. Exupéry cerca così di riaggrapparsi alle ultime nozioni recepite in fatto di disegno. Per farlo, deve tornare ai suoi dolorosi ricordi d’infanzia, rivelandoci di non aver mai disegnato una pecora. Riparte così da ciò che conosce, ovvero il boa e l’elefante: il suo primo disegno ritrova finalmente, a distanza di più di trent’anni, il suo significato e, forse per la prima volta, viene realmente compreso.

Ho trovato singolare come, qualche riga più avanti, Exupéry definisca il piccolo principe come suo amico; data la situazione, la scarsa reciproca conoscenza e le bizzarre pretese del piccolo, tale definizione potrebbe apparire esagerata. Ripensandoci però, non è del tutto vero: quella personcina è davvero importante per l’aviatore. E per comprenderlo, basta riflettere su noi stessi o ripensare alle conoscenze che, forse inconsapevolmente, abbiamo ereditato dagli antichi. Ci può risultare decisivo solamente chi prova il nostro stesso dolore o è in grado di comprenderlo (da cui gli aggettivi simpatico ed empatico, syn pathos e en pathos) o colui in grado di percepire in tutta la sua bellezza la realtà che ci circonda (da cui l’animo sensibile, sensìbilis). Chi banalizza il nostro dolore, non potrà che risultarci antipatico.

 


disegno di Alessandra Palombelli

trovate il commento per i più piccoli qui

Condividi