In una sera d’estate, un amico piuttosto singolare si racconta. Ripercorrendo la sua vita, scopriamo una grande amicizia tra il nostro protagonista ed una bambina, ormai cresciuta. Il tempo è passato per entrambi: ma resta indelebile il ricordo di quando non erano altri che il gigante e la bambina.
Potete trovare questo racconto nell’ Antologia di Poesie e Racconti 2020 del sesto concorso letterario, ‘Voci di Notte’ a tema: flora. Buona Lettura!
Sul far della sera, padri stanchi si trascinavano verso casa e madri premurose già pronunciavano quel dolce c’era una volta. Dalle finestre che davano sulla piazza tutti potevano vedermi; ma nessuno mi rivolse uno sguardo. Certo, ero un tipo riservato, alle volte inavvertitamente brusco: per via della mia goffaggine, le carezze che porgevo ai bambini finivano per assomigliare più a dei graffi. Data la mia folta chioma, molti mi trovavano buffo: bastava un leggero soffio di vento per scarmigliarla! Altri, vedendomi così imponente, mi avevano inizialmente temuto; ma, appurato che fossi un’anima buona, avevano finito per trascurarmi e quasi non mi salutavano più.
Non dico ciò per suscitare rammarico o pietà, tu lo sai; questi nostri compaesani non sono cattivi, sono solo un po’ distratti. Ormai è molti anni che li osservo e posso dire di conoscerli: come un padre verso il figlio, sono qui da parecchi anni prima di loro. Oserei dire che hanno tutti lo stesso difetto: tendono a dimenticarsi troppo in fretta di chi sceglie di operare il bene in silenzio e finiscono per dare per scontato tutto ciò che hanno.
Cent’anni! Sono già passati cento di questi anni. La vita scorre veloce come la linfa vitale che porta vigore, ancora, ad un vecchio come me. Volendo fare il paragone con alcuni miei fratelli e sorelle sparsi per il mondo, sono in realtà ancora un giovincello; ma bisogna ammettere che la mia età inizia ad incutere un certo rispetto. Anzi, sai che ti dico? Visto che gli uomini sono soliti tenere discorsi in ricorrenze solenni, questa volta ne seguirò l’esempio e ti parlerò un po’ di me.
La mia vita è sempre stata dedita al servizio ed al benessere degli altri: sin da quando non ero altro che un büsca[1], osservavo affascinato i più grandi e ne seguivo le orme sperando, un giorno, di diventare come loro. Potrai ben immaginare la mia gioia quando finalmente prese avvio la mia carriera! Da quel giorno non ho più smesso: anche adesso, alla mia veneranda età, lavoro senza sosta per tutto il giorno, concedendomi un po’ di riposo solo la notte.
Lo ammetto, da giovane avevo un carattere molto più burrascoso e ad ogni vento di novità mi piegavo smanioso alla ricerca di non so più cosa; ma negli anni, ho fatto della pazienza la mia virtù ed ho imparato l’arte della resilienza e della rinascita. Ne ho passate tante. Ogni piccola grande ferita rimane impressa come cicatrice sulla mia pelle, resa ormai scabra dalle tante intemperie attraversate e trionfalmente vinte; si può dire che, ormai, mi sia fatto la corteccia.
Perdonami se tendo ad essere troppo complicato mentre parlo; a volte dimentico che io sono solo un albero e tu una bambina. O meglio, eri una bambina; ormai sarai divenuta una splendida donna. Ricordo ancora quelle calde giornate estive in cui, a piccoli passi, imparasti a camminare. Io, divertito e commosso, potevo solamente offrirti un po’ d’ombra. Tuo padre ti sorreggeva mentre, quasi a tentoni, cercavi di capire cosa volesse dire mettere un piede davanti all’altro.
Hai scoperto cosa fosse l’equilibrio a suon di cadute e graffi, ma sul tuo volto non ho mai scorto altro che uno splendido sorriso. Già allora, ne sono certo, avevi capito il segreto della vita. Una volta cresciuta, la tua determinazione si è resa ancora più manifesta; eri appena una signorina, eppure eri molto più matura di certi adulti che avevi attorno. Sopra tutto, credo che la tua grande virtù fosse stupirsi, sempre, delle cose più semplici. Ti confesso che sei stata una delle poche a lodare così l’operato mio e dei miei colleghi. Per quanto riguarda i tuoi complimenti poi, ammetto che un poco ci facevi arrossire. Ti dirò di più: da quando mi hai soprannominato il gigante ho preteso, con una punta d’orgoglio, che facessero lo stesso anche i miei amici. ‘La bellezza salverà il mondo!’. Questo era il tuo motto e ci credevi davvero.
Sono grato al cielo per avermi donato la possibilità di incontrarti. Se una persona, una persona soltanto avesse la tua sensibilità! Sono sicuro che il mondo sarebbe un posto migliore. Non mi sono mai mosso da questa piazza, eppure posso dire di aver visto fin troppo: fin troppo dolore, fin troppa cattiveria. Ho visto uomini obbedire cechi ad un dio di cui non sapevano nemmeno il nome mentre, con le loro stesse mani, si privavano della propria libertà; ho visto fratelli ammazzarsi tra loro in nome della guerra. Ho visto madri seppellire i propri figli, uomini affannarsi in nome di poteri vani e poi, in preda alla pazzia, togliersi la vita; ho visto tanti, tanti soprusi contro la natura. In tutte queste occasioni, mi sono sempre chiesto se ci fosse speranza per l’uomo, senza riuscire a darmi una risposta.
Poi sei arrivata tu e con la tua piccola grande quotidianità, con la tua attenzione verso l’altro, che fosse uomo, animale o arbusto, sei riuscita a far ricredere anche un vecchio come me. Ho iniziato così a vedere anche il bicchiere mezzo pieno dell’umanità e compreso che l’uomo aveva sì fatto la guerra, ma ne era anche uscito. Ho capito che al mondo c’era chi appiccava incendi, ma anche chi piantava alberi. Insomma, ho compreso che tanto male era stato compiuto, ma molto bene poteva essere ancora fatto ed ho intuito che, in fondo, anche l’uomo e la flora possono avere dei tratti in comune: sono entrambi così fragili! Ed è proprio in questa fragilità che si nasconde la bellezza di cui tanto parlavi.
Sono passati ormai molti anni dall’ultima volta che ti ho vista. Ovunque tu sia ora, sono sicuro che tu stia lottando per quegli ideali in cui hai sempre creduto, che tu stia difendendo quella bellezza che tanto osannavi. Ora sono pronto a credere che qualcuno abbia voluto seguire il tuo esempio. Qualche giorno fa un amico viaggiatore, venendosi a posare sui miei rami per riposarsi, mi ha confidato di averti vista e di aver scoperto che hai avuto anche tu una bambina. Le auguro con tutto il cuore di avere la tua testardaggine e determinazione! E, perché no, anche il tuo splendido sorriso.
Il sole è ormai tramontato e già si vedono le prime stelle: che meraviglia! Queste notti di mezza estate mi riportano indietro nel tempo a quando non eravamo altro che il gigante e la bambina. Sono certo che anche tu stia guardando il cielo in questo momento. Oh, se l’uomo uscisse a riveder le stelle…
[1] büsca = fuscello, ramoscello